Con il nuovo singolo “Ed ecco la libertà”, Biagio Andrea racconta il momento in cui una relazione si spezza e lascia spazio al silenzio, alle domande e a una libertà non cercata. Un brano intimo e riflessivo, che trasforma l’assenza in consapevolezza e invita a ritrovare la serenità dentro di sé.
Come nasce questa passione, questa voglia di proporre te stesso alla gente attraverso la musica e i tuoi testi?
La passione per la musica nasce molto presto, come una necessità più che una scelta. È sempre stato il mio modo per capire quello che vivo e per comunicarlo agli altri. Quando scrivo un testo o lo canto, sento di liberarmi da qualcosa. Ed ecco la libertà nasce proprio da questo bisogno: trasformare esperienze personali in qualcosa di universale, che possa toccare anche chi ascolta.
Qual è la canzone preferita che ti piace di più suonare?
Sicuramente Ed ecco la libertà. È un brano che rappresenta un punto di arrivo e, allo stesso tempo, un nuovo inizio. Ogni volta che la porto dal vivo, sento un’energia diversa, più diretta. È come rivivere il momento in cui ho ritrovato il coraggio di credere nel mio percorso.
Come giudichi il panorama della canzone italiana? Il Festival di Sanremo è ancora il palcoscenico più importante per gli artisti?
La musica italiana è in continuo movimento: ci sono artisti che sperimentano tanto e altri che cercano di mantenere un legame con la tradizione. Sanremo rimane un simbolo, ma oggi ci sono molti altri modi per farsi conoscere. Con i social e le piattaforme, puoi arrivare a persone lontanissime e farlo in modo più diretto. Credo che il valore stia nell’autenticità, non nel palcoscenico.
Che ne pensi dei Talent show come trampolino di lancio?
I Talent possono essere un’occasione, ma non sono l’unica strada. Ti danno visibilità, ma poi serve il tempo per capire chi sei e cosa vuoi dire davvero. Io credo che il percorso artistico sia più solido quando nasce da dentro, da un’urgenza vera, non solo da un format televisivo.
Ci racconti la genesi del tuo nuovo singolo?
Ed ecco la libertà è nata in un momento di fine, non di inizio. È una canzone che parla di quando ti rendi conto che qualcosa è cambiato, che una persona o una parte di te non ti appartiene più. Ma invece di forzare la reazione, lasci andare, e in quel lasciar andare scopri una forma diversa di pace.
Il brano nasce da lì: da una riflessione lucida ma emotiva, in cui la libertà non è fuga o euforia, ma consapevolezza. Anche musicalmente ho cercato di restare essenziale, senza sovrastrutture, per far parlare il testo. È una canzone che non cerca di colpire, ma di arrivare piano — come un respiro che diventa verità.
Tre dischi che non possono mancare nella tua valigia?
“Cross Road” dei Bon Jovi, perché ha quella forza rock che sa darti energia anche nei momenti più incerti. “Everything Changes” dei Take That, che mi piace per il modo in cui unisce eleganza e introspezione. E “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” degli 883, un disco che sa raccontare la vita di tutti i giorni con ironia e leggerezza — qualità che cerco anch’io di non perdere nella mia musica.
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